In questo labirinto italiano ci si perde per ritrovarsi: natura, arte e sogno si intrecciano in un percorso unico nel suo genere
C’è chi nei labirinti vede solo un passatempo. Un tracciato da risolvere con astuzia, magari tra siepi alte e sentieri intricati. Ma esistono labirinti che non vogliono confonderci: vogliono parlarci. Alcuni ci fanno perdere, sì, ma solo per aiutarci a ritrovare qualcosa che avevamo dimenticato.
È da questa intuizione che nasce uno dei labirinti più sorprendenti d’Italia. Non il più grande in assoluto, forse, ma di certo quello che riesce a far incontrare letteratura, natura e visione. A progettarlo è stato Franco Maria Ricci, editore raffinato, collezionista e amante dell’estetica in ogni sua forma. La scintilla? Un’amicizia con Jorge Luis Borges.
“Borges rimase ospite a casa mia venti giorni, negli anni Ottanta, e fu allora che iniziai a pensare di costruire un labirinto vero”, raccontò Ricci. Da quel momento, il sogno prese forma tra studi, incontri e una volontà quasi ossessiva di rendere reale l’idea di un luogo in cui perdersi significasse qualcosa.
E così, quel sogno nato dal dialogo con Borges ha trovato forma tra le pianure silenziose di Fontanellato, in provincia di Parma. Lo chiamano Labirinto della Masone, e non serve aver letto Calvino per sentirsi parte di un racconto una volta varcata la soglia. Non è solo un percorso di canne di bambù alte fino a cinque metri, ma un vero mondo parallelo: otto ettari di verde, tre chilometri di vie da attraversare, una geometria viva che cambia con la luce, con il vento, con l’umore di chi entra.
L’idea, però, non era solo costruire un labirinto. Ricci voleva una cattedrale del pensiero, un giardino dell’immaginazione, dove si potesse camminare senza fretta e, nel frattempo, nutrirsi di bellezza. Un luogo che unisse l’arte, la letteratura, l’enigma e il gioco, mescolando tutto con un senso del gusto tipicamente italiano, ma con ambizioni internazionali.
Al centro c’è una piazza, e tutto intorno un piccolo regno culturale: una biblioteca, un museo, sale espositive, spazi per eventi. Un’idea di arte che non si appende alle pareti, ma si cammina. Si vive.
Qui, tra siepi e silenzi, si può passare una domenica che sembra uscita da un libro: prati, panchine, suonatori di fisarmonica, magari un gelato tra le mani e la sensazione, rara, di essere dentro qualcosa di costruito con pazienza, con gusto, con visione.
Non sarà il labirinto più grande al mondo, certo, ma è uno di quelli che non si dimenticano. E soprattutto, è uno di quelli in cui perdersi fa bene.
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