Un viaggio tra latino, nomenclatura e nuvole: immergiti nella storia di come Luke. Howard ha battezzato le nuvole.
Hai mai letto “cirro” o “cumulonembo” nell’app meteo e ti sei chiesto perché quei nomi suonano in latino? La risposta non è solo tradizione. È un modo per parlare delle nuvole con un linguaggio chiaro, condiviso e stabile nel tempo. Il latino non cambia con le mode. Funziona come chiave universale. Medici, piloti e meteorologi lo usano perché riduce gli equivoci.
La nomenclatura delle nubi segue regole semplici. I nomi indicano forma, altezza e sviluppo. “Cirrus” descrive filamenti alti e sottili. “Stratus” indica uno strato uniforme. “Cumulus” racconta di cumuli gonfi e luminosi. “Nimbus” segnala pioggia o neve. Le combinazioni spiegano meglio: “cirrostrato”, “altocumulo”, “cumulonembo”. Quando osservo un temporale estivo, vedo il corpo torreggiante di un cumulonembo salire come un edificio. Il nome racconta già la storia del tempo che sta per arrivare.
Oggi lo standard globale vive nell’International Cloud Atlas della WMO. Il portale ufficiale (cloudatlas.wmo.int) è uno strumento aperto e aggiornato. Il primo atlante internazionale risale al 1896. Da allora la meteorologia ha avuto un riferimento comune, utile per ricerca, aviazione e protezione civile.
Ma chi ha messo ordine per primo in questo cielo di forme? Un inglese dell’inizio dell’Ottocento, un curioso fuori dagli schemi. Si chiamava Luke Howard. Tra il 1802 e il 1803 presentò a Londra uno schema che cambiò la classificazione delle nubi. Lo pubblicò con il titolo “On the Modification of Clouds”. Usò il latino per creare categorie semplici, combinabili e descrittive. Disse, in pratica: le nuvole hanno forme riconoscibili, e noi possiamo nominarle senza ambiguità.
Il sistema di Howard piacque subito agli scienziati dell’epoca. Anche Goethe lo celebrò in versi. Le sue quattro radici — cumulus, stratus, cirrus, nimbus — sono ancora il cuore del linguaggio tecnico. La WMO ha ampliato e raffinato quei criteri, ma la logica di base resta la stessa: osserva, descrivi, classifica.
La forza di questa nomenclatura sta nell’uso quotidiano. In un briefing di volo, un “cumulonimbus” non è poesia: è un rischio di turbolenza e ghiaccio. In agricoltura, un cielo di altostrati suggerisce luce diffusa e cambiamento lento. Anche sul telefono, quelle etichette non sono decorazioni. Sono segnali pratici.
Mi piace guardare il cielo sapendo che qualcuno, due secoli fa, ha cercato un ordine nella sua apparente confusione. Quante storie passano sopra di noi, ogni giorno, senza nome? E quali nuove forme, magari legate al clima che cambia, stiamo imparando a riconoscere adesso?
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